
MARTA. Quando Giuliano entra nell’incubatoio davanti ai contenitori di vetro vuoti, si emoziona, ha la voce rotta. Dice: <Un anno ne abbiamo fatte due di incubazioni, milioni di avannotti, che tristezza vedere questo posto vuoto, inutilizzato>. Dietro la tristezza di Giuliano Rocchi c’è il disagio di un centinaio di persone con le loro famiglie, sono i pescatori di Marta e di tutto il lago di Bolsena. Da tre anni infatti, a causa di una direttiva europea ( e viene da chiedersi a cosa servano veramente questa direttive) non è possibile l’incubazione degli avannotti, i pesci debbono essere “autoctoni” cioè nati e cresciuti nelle acque del lago. Ma il lago non è più lo stesso di una quindicina di anni fa. Non ci sono le canne (le cannarelle) che crescevano lungo le rive e che servivano da riparo al coregone e al persico reale per deporre le uova al sicuro, senza che predatori come l’anguilla o il persico sole, le mangiassero. I canneti sono stati tagliati, oppure sono scomparsi a causa dei pesticidi delle coltivazioni. <Ora – dice Giuliano – si punta molto sul turismo, e della pesca non interessa a nessuno>. I pesci sono sempre di meno, non hanno le condizioni per riprodursi, e l’incubatorio non si può più usare.
E ci si chiede: che tipo di turismo stiamo inseguendo, che se ne farebbe di un lago morto?
Il pesce del lago di Bolsena ha una tradizione centenaria. Il coregone è apprezzato in tutta Italia, soprattutto al nord, ma anche all’estero, in Germania. E’ stato introdotto nel 1870 per combattere la malaria, mangiava le uova delle zanzare. Poi è diventato una caratteristica della zona
Il pesce ha (o aveva) tutto un indotto economico che va dalle vendite all’ingrosso, ai trasporti, ai laboratori di lavorazione e sfilettamento, alla ristorazione e per il lago di Bolsena è sempre stato un valore caratteristico. Remo Bracoloni è un trasportatore che lavora per un’azienda di Marta, oggi in sofferenza. <Facevamo quattro viaggi a settimana per Milano – racconta – il capoluogo lombardo è una della piazze dove il nostro pesce viene apprezzato di più>.
Oggi quasi più niente. C’è Carlo Gentili, altro pescatore figlio di pescatori come tutti, che non si capacita di come la politica sia miope nell’affossare un’economia che funziona . <Si facevano almeno 30 chili di pesce al giorno ciascuno, ed erano perfino pochi – racconta – ieri sono tornato a casa con due coregoni. Me li sono mangiati,quasi per rabbia. Se avessi dovuto venderli, a quanto potevo farli al chilo? Cinque euro. E per la barca ho speso 30 euro di gasolio. Si stava bene, non pretendevamo tanto. Si usciva a pescare e con il nostro lavoro mandavamo avanti la famiglia. Ora non si può più>.
Una quindicina di pescatori sono tutti lì, davanti allo specchio di lago dove si vedono vicinissime le isole Martana e Bisentina. Uno, il più giovane, una trentina di anni, non vuole parlare. <Tanto non succederà niente – borbotta – tra una settimana dovrò cambiare lavoro, penso solo a questo>.
Qualcosa si dovrebbe e si potrebbe fare invece. Il problema riguarda tutti i laghi, non solo quello di Bolsena. Ma la Regione Lazio potrebbe fare qualcosa, intervenire con il Ministero per venire incontro ai pescatori del Lazio e alle loro famiglie. E per salvare un’economia e un’attività che ha sempre caratterizzato Bolsena.



